Ferie illimitate: puro marketing o un benefit reale?

Una tendenza destinata a imporsi? Un trend che sta iniziando a prendere piede, sulla scorta della sempre maggiore attenzione verso il Work Life Balance dei collaboratori.
12/10/2022
Daniela Fabbri

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Netflix, Oracle, Linkedin, Zoom, Evernote, Adobe, Twitter… Non è solo l’elenco (parziale) delle più famose tech companies al mondo, molte delle quali nate e cresciute nell’incredibile incubatore di innovazione che è la Silicon Valley. Proprio perché l’innovazione è al centro del Dna di queste realtà, questo è anche l’elenco delle aziende che offrono ai loro dipendenti l’opzione delle ferie illimitate. Un trend che sta iniziando a prendere piede, sulla scorta della sempre maggiore attenzione verso il Work Life Balance dei collaboratori. Sul sito di Adobe, per esempio, l’azienda presenta così la sua politica sulle vacanze pagate: “Non abbiamo una quantità prestabilita di giorni di ferie o di permessi. Per questo ti incoraggiamo a confrontarti direttamente con il tuo manager per prenderti il tempo di cui hai bisogno, quando ne hai bisogno. Ad Adobe crediamo che prendersi del tempo sia essenziale per la salute e la produttività di ogni dipendente”. In Europa, Goldman Sachs è stata fra le ultime ad offrire questa opzione al senior staff. E secondo una survey realizzata da U.S.News su 200 grandi aziende statunitensi nell’ambito della finanza, della tecnologia e dell’industria digitale il 20% ha una politica di questo tipo.

 

Una tendenza destinata a imporsi? Difficile dirlo e una premessa è d’obbligo: in Italia il diritto alle ferie pagate è stabilito dall’articolo 36 della Costituzione, che sancisce che “Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”. Per questo le ferie illimitate possono essere percepite più come uno strumento di marketing che come una politica di effettiva attenzione al dipendente. Diverso il discorso negli Stati Uniti, che sono l’unico paese dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) in cui i datori di lavoro non sono obbligati a garantire ferie pagate. Resta il fatto che la possibilità di ferie illimitate potrebbe senza dubbio andare a inserirsi in quella evoluzione dei modelli dell’organizzazione del lavoro che sta spostando il focus dal numero di ore lavorate ai risultati ottenuti. Un’evoluzione accelerata dallo smart working pandemico e sicuramente destinata a imporsi.

 

Quindi in futuro lavoreremo sempre di più per risultati e potremo prenderci lunghi periodi di riposo una volta concluso un progetto? La questione è meno semplice di quello che potrebbe sembrare. Intanto ci sono già delle aziende che su questo tipo di policy hanno fatto marcia indietro. E non perché ci fosse un abuso di ferie, ma proprio per il fenomeno contrario. La policy aziendale sulle ferie illimitate produce spesso come risultato che i lavoratori vanno in vacanza meno di quello che facevano prima. I motivi? La mancanza di un punto di riferimento rispetto al numero di giorni di vacanza considerato congruo introduce infatti una situazione di incertezza: quanti giorni di ferie posso permettermi senza rischiare di essere considerato un fannullone? E proprio la spiegazione della policy aziendale di Adobe chiarisce un altro punto critico: le ferie devono essere concordate con il manager di riferimento e sappiamo bene, anche dallo smart working, che un manager che non condivide pienamente una cultura aziendale di questo tipo è perfettamente in grado di farla fallire. Fra l’altro, le voci più critiche rispetto all’efficacia di questa misura ricordano che non stabilire il monte ore di ferie retribuite è il modo migliore per non dover pagare le ferie non godute alla fine del rapporto di lavoro.

 

Tutto questo non significa che le ferie illimitate non possano diventare, da efficace slogan di marketing aziendale, uno dei pilastri di un’organizzazione del lavoro più rispettosa del bilanciamento vita-lavoro e del benessere complessivo dei lavoratori. Ma difficile pensare che possa succedere a breve, e soprattutto senza una profonda evoluzione dei modelli organizzativi e culturali.