Assumere i migliori talenti con lo Skill Based Hiring

«Sapete chi invidio? Chi ha un lavoro che in qualche modo ha a che fare con la sua laurea», è una frase pronunciata da Jason Shen, l’attuale product manager di Facebook in un discorso per TedX.
23/03/2022

 

«Sapete chi invidio? Chi ha un lavoro che in qualche modo ha a che fare con la sua laurea», è una frase pronunciata da Jason Shen, l’attuale product manager di Facebook in un discorso per Tedx [1]. Con due lauree in biologia, il manager è un esempio emblematico di coloro che, pur non avendo i titoli specifici per raggiungere determinate posizioni aziendali, riescono ugualmente a fare carriera grazie al proprio talento e alla voglia di acquisire nuove competenze.

 

Un caso come quello di Shen rappresenta anche un invito alle aziende a mettere in atto un approccio innovativo nello scouting dei talenti, chiamato tecnicamente “Skilled Based Hiring”. La filosofia che sta alla base di questo processo di recruiting è semplice: sono soprattutto le competenze ad avere un peso specifico nella scelta di un candidato, più che i titoli (lauree o master conseguiti presso organizzazioni prestigiose): «C’è un approccio più tradizionale che dà molta enfasi a un determinato grado o genere di istruzione, così come all’esperienza già maturata in uno specifico ruolo. Ciò non è sbagliato nelle premesse, ma è limitante. In un mercato della formazione ibrido, caratterizzato da nuovi strumenti digitali che consentono, a chi ha buona volontà e inclinazione allo studio, di ottenere competenze al di fuori dei circuiti tradizionali, le aziende dovrebbero aprire gli occhi di fronte a nuove opportunità» spiega Damiano Saggioro, Executive Director Padova, Verona | Recruitment Solutions.

 

Con il suo aiuto, indaghiamo i vantaggi, ma anche le criticità, di un processo di recruiting skill based e come le aziende possano organizzarsi per individuare talenti in bacini inediti, diversificando al contempo la composizione dei propri team.

 

PIÙ RESPONSABILITÀ E MENO REQUISITI

 

Linkedin ha dedicato uno studio allo skill based hiring. I dati divulgati dal social media [2] offrono alcuni spunti per inquadrare il fenomeno e comprenderlo. Per esempio, dalla ricerca emerge che i dipendenti senza una laurea quadriennale tendono a restare nelle aziende il 34% di tempo in più rispetto a coloro che non possiedono tale titolo: «Questo è un dato che si presta a una duplice lettura: da una parte, è evidente che chi non possiede titoli specifici ha più timore di lasciare l’azienda perché dovrebbe ricollocarsi in un mercato del lavoro complesso come quello di oggi; dall’altra, indica che quando il management scommette sulla carriera di un talento “non titolato”, quest’ultimo è più coinvolto e motivato», continua Saggioro.

 

Un altro dato contenuto nello studio riguarda gli annunci di lavoro promossi dalle aziende americane su Linkedin. Nel 2021 quelli che riportano la voce “responsabilità” al posto di “requisiti” sono aumentati del 21% rispetto all’anno precedente, come è in crescita del 40% anche il numero di posizioni aperte che non richiede un titolo specifico: «Questo non dimostra che titoli ed esperienza abbiano perso importanza agli occhi dei recruiter, ma significa che c’è una maggiore focalizzazione delle aziende sulle competenze, indipendentemente da come siano state acquisite dai candidati», sottolinea Saggioro.

 

MENO BARRIERE ALL’INGRESSO, PIÙ TALENTI

 

Sono diverse le opportunità per le organizzazioni che scelgono di adottare lo skill based hiring. Tra quelle maggiormente considerate, vi è la possibilità di scovare talenti in nuovi bacini, evitando che la richiesta di un determinato grado di istruzione possa creare delle barriere all’ingresso. Secondo una ricerca di Mckinsey[3], il 90% delle posizioni in industrie crescenti, come hi-tech, healthcare e business management, richiede una laurea, sebbene molti di questi lavori rappresentino delle opzioni valide anche per coloro che non possiedono necessariamente un grado di istruzione così avanzato. «Facciamo l’esempio di un’azienda che è alla ricerca di una figura verticale sul linguaggio di programmazione Python e non riesce a trovarla nell’immediato. In questo caso, sarebbe saggio allargare il raggio della propria ricerca includendo anche chi possiede competenze in campi affini, come Linux, Java e Perl e poi attrezzarsi per completare la formazione della risorsa con attività mirate di formazione», consiglia Saggioro.

 

Inoltre, un approccio di recruiting skill based consente anche di ridurre i bias cognitivi nei processi di selezione, contribuendo a formare team più eterogenei, soprattutto in determinate posizioni. D’altronde, è dimostrato che i team di lavoro più inclusivi acquisiscono un vantaggio competitivo, rappresentano meglio i consumatori, e portano un approccio più variegato e innovativo al problem solving.

 

Altro vantaggio dello skill based hiring è la possibilità di contribuire al cambiamento del DNA dell’impresa riguardo al trasferimento delle competenze: «Le aziende che sanno riconoscere quali sono le skill di cui hanno bisogno, imparano anche a individuarle all’interno della propria popolazione aziendale. Questo consente di capire velocemente quali sono le figure che possiedono l’attitudine per acquisire nuove competenze, affini alle proprie, e di offrire anche nuovi stimoli per la carriera dei collaboratori. Basta pensare a tutti quei lavoratori, del settore food ad esempio, che con la chiusura delle strutture durante la pandemia hanno saputo riproporsi in ruoli di customer service», sottolinea Saggioro. D’altronde, secondo uno studio di Gartner[5], il 97% dei collaboratori sarebbe propenso ad apprendere una nuova skill affine al proprio ruolo qualora gli fosse data l’opportunità.

 

TRE STEP (DECISIVI) PER ABBRACCIARE LO SKILL BASED HIRING

 

Quali sono gli step dai quali un’organizzazione che intende adottare l’approccio skill based non può prescindere? Innanzitutto, deve analizzare quali sono le competenze di cui ha bisogno, sia nel breve che nel lungo periodo. E, subito dopo, comprendere se, internamente, sono presenti collaboratori che possiedono capacità simili e che possono prestarsi a un’attività di upskilling. In caso contrario, sarà necessario aprire nuove posizioni:

 

«L’individuazione delle competenze che servono è un’attività che si svolge di concerto e nasce da una collaborazione tra business leader, partner e HR specialist. Il lavoro di un solo dipartimento, seppur di qualità, non può bastare per identificare uno skill gap, e neanche per decidere quali sono le azioni giuste per acquisirle», evidenzia Saggioro.

 

Un altro step concerne l’introduzione di nuovi strumenti: gli HR manager non devono solo implementare procedure differenti, ma anche dotarsi di tool in grado di analizzare le competenze interne ed esterne dei candidati. Per farlo può essere utile considerare l’eventualità di stringere partnership con altre aziende, così da usufruire dei nuovi strumenti di assessment disponibili sul mercato, avendo anche l’opportunità di fare degli A/B test, per capire quali poi si adattano meglio alle caratteristiche della propria organizzazione.

 

Infine, è necessario valutare la dotazione tecnologica in azienda, prevedendo l’acquisizione di software che supportino il management nella ricerca di quelle competenze che possono essere simili all’interno dell’impresa, come nel mercato del lavoro. A tal proposito, l’intelligenza artificiale può rappresentare un valido alleato, grazie agli algoritmi che riescono a fare degli abbinamenti efficaci tra le posizioni di lavoro e le competenze più adatte, riducendo tempi e costi.

 

LA VALUTAZIONE DEL FUTURO E NON DEL PASSATO

 

Anche se le aziende sono oggi più preparate ad assumere i candidati valutando il potenziale futuro e non il passato, per un uso massivo dello skill based hiring bisognerà attendere diversi anni. Questo perché l’approccio presuppone non solo un cambiamento nei processi di recruiting, ma anche il potenziamento degli strumenti di assessment, l'apertura delle aziende verso forme di collaborazione sempre più diffuse con stakeholder esterni e un lavoro dinamico sul fronte sia dell’upskilling che del reskilling: «Individuare la competenza è forse la fase più facile del processo. Per vincere la sfida della cosiddetta “war talent”, è necessario che l’azienda sappia ragionare in modo olistico, partendo dai processi di onboarding, fino ai piani di carriera e alla formazione, che restano gli strumenti fondamentali per ottenere un concreto vantaggio competitivo», conclude Saggioro.

 

[1] https://www.ted.com/talks/jason_shen_looking_for_a_job_highlight_your_ability_not_your_experience

 

[2] https://hbr.org/2021/06/you-need-a-skills-based-approach-to-hiring-and-developing-talent

 

[3] https://www.mckinsey.com/business-functions/people-and-organizational-performance/our-insights/the-organization-blog/hire-more-for-skills-less-for-industry-experience

 

[4] https://www.huffingtonpost.it/entry/unconscious-bias-perche-la-lotta-ai-pregiudizi-sprigiona-linnovazione-di-r-bonfitto_it_614390ace4b0581b792e117a

 

[5] https://www.gartner.com/en/newsroom/press-releases/2021-10-20-gartner-survey-reveals-hr-leaders--number-one-priorit

 

Per saperne di più, iscriviti al nostro portale Sparks of Knowledge